Fabri Fibra: Caos
Ce n’è per tutti, nel Caos di Fabri Fibra
Articolo contruibuito da Pietro Possamai di Futura 1993 Photo credit: Mattia Guolo
Non è affatto banale per un artista aspettare svariati anni tra un disco e l’altro e avere comunque, all’annuncio della nuova uscita, tutti i riflettori puntati su di sé. È una cosa che riesce solo ai grandi della musica, a quelli che hanno lasciato un segno nel proprio genere e nella propria epoca che, semplicemente, non sbiadisce nel tempo.
A livello internazionale, viene in mente l’esempio recente di Stromae, che poche settimane fa è tornato con Multitude a ben 9 anni di distanza da racine carrée e ha trovato tutti pronti ad aspettarlo. A livello nazionale, gli esempi si contano sulle dita forse di una mano, al massimo due. Uno di questi è Fabri Fibra, che ha lasciato trascorrere 5 anni tra Fenomeno e il nuovissimo Caos e ciononostante è stato atteso ed accolto come se non se ne fosse mai andato. Ha fatto semplicemente trascorrere il tempo necessario per pubblicare un prodotto di qualità, a dimostrazione che la capacità di aspettare per ciò che ne vale la pena – in questo frenetico mondo musicale fatto di talenti che appaiono e scompaiono come dei lampi – ancora ce n’è. Per fortuna.
Caos si apre con un’Intro che è più che altro un viaggio nella carriera di Fibra, ripercorsa sul beat alternandosi con la voce di Gino Paoli campionata da Il cielo in una stanza, a partire dal 1999 (quando uscì Sindrome di fine millennio degli Uomini di Mare) fino all’uscita di Fenomeno nel 2017, passando per tutto quello che c’è stato in mezzo. Il risultato è il perfetto quadro di una carriera lunga, sudata e in costante evoluzione, arrivata ora ad un giro di boa importante con l’uscita del decimo album in studio. E non si poteva pensare ad un’intro più azzeccata per quello che, lo dice lo stesso Fabri Fibra, “è un disco che riassume tutti gli aspetti del mio modo di scrivere e di fare il rap”. In sostanza, è un po’ come se ci stesse facendo un recap delle puntate precedenti per prepararci a questa, che è appunto un nuovo capitolo, sì, ma della stessa storia.
Pronti, via: dopo la intro arriva Goodfellas, brano a cui Fibra affida il compito di dire a tutti che è tornato e che, quando vuole, può ancora mettere tutti a tacere. Con il prezioso aiuto del ritornello di Rose Villain, ci fa immergere in un’atmosfera da film crime, perfetto sfondo per un brano aggressivo e incentrato su quella competizione che è il cuore pulsante del rap game.
Segue a ruota Brutto figlio di, un brano che ricorda molto Vaffanculo Scemo, perché siamo di fronte a quello stesso Fibra ironico, dissacrante e incazzato con tutto e tutti. Ripete l’insulto celato nel titolo come un mantra per 2 minuti e mezzo di traccia e seguire il flusso assieme a lui è uno sfogo quasi catartico. Provare per credere.
Arriva poi Sulla Giostra, brano che vede la collaborazione di Neffa, che ne è un po’ il protagonista. Come per il loro precedente featuring in Panico nel 2013, Neffa cura la produzione e accompagna Fibra in un mondo di sonorità non propriamente sue, ma con estrema naturalezza. Il risultato è un brano R&B leggero, impreziosito dal ritornello dell’artista campano e – come ha detto Fabri – si preannuncia “perfetto per i live, con un giro di basso che entra subito in testa”.
Le tracce che seguono sono Stelle e Propaganda, assimilabili perché entrambe molto radio-friendly, ma senza compromessi: una specialità di FF. Nel primo caso abbiamo la presenza di Maurizio Carucci (ex Ex-Otago) su una produzione di Dardust che è un connubio ben riuscito tra elettronica e urban, per un prodotto finale che è insieme omaggio e un richiamo al mondo disco, presenza importante nell’adolescenza di Fibra sulla riviera adriatica. Qui, proseguendo un’analisi del Fabri presente alla luce del suo passato, siamo vicini a Pamplona con i Thegiornalisti. Propaganda, invece, che punta molto sul ritornello del duo Colapesce-Dimartino, è una traccia sì da radio, ma molto politica. Il rapper marchigiano, pur ammettendo di non intendersene molto, racconta con schiettezza di come la propaganda possa ammaliare le persone e poi lasciarle a mani vuote. È vincente il contrasto tra musica e parole: leggera la prima, di forte disillusione e amarezza le seconde.
Eccoci allora alla title track, Caos, con ritornello di Lazza e strofa di Madame. Come Goodfellas, anche questo è un brano legato al tema del ritorno sulla scena, ma in ottica completamente diversa. Qui si celebra l’aspetto salvifico del riabbracciare ciò che ci appartiene e ci fa stare bene, che per Fibra è il rap, è la musica. Dopo 5 anni di assenza dalla scena, torna a casa per mettere ordine al suo caos.
Segue Pronti al peggio, con Ketama126 e produzione di Big Fish. L’incontro tra FF e Kety è molto naturale, perché entrambi hanno una scrittura fotografica, che si basa più sull’accostamento di immagini che sui giri di parole. Il senso del brano, riflessione sulla precarietà che caratterizza anche il successo, lo spiega bene Fibra: “è uno stato mentale, quando sai che le cose ti stanno andando bene, ma sai che da un momento all’altro potrebbe finire tutto”.
Arriva Fumo erba e si apre una serie di 4 tracce in cui non ci sono featuring: solo Fibra e tante cose che gli sono successe e girate per la testa e che finalmente può raccontare come sa meglio sa fare, ovvero sputando barre un beat. In Fumo erba parla dell’ambivalente rapporto con la marijuana, da cui troppe volte si è sentito condizionato e dalla quale si è preso una pausa (Mi sono disintossicato dalla marijuana è l’eloquente attacco del suo recente Redbull 64 Bars). La successiva Demo nello stereo è un flusso di coscienza (come ha detto il rapper: “parlo di un po’ tutto quello che mi passava per la testa quando stavo scrivendo”) valorizzato dalla base di Zef e Marz che rende il brano un banger irresistibile. È il turno di El Diablo, in cui c’è perfetta armonia tra musica e testo: una strumentale cattivissima dei 2ndRoof per un brano incazzato col consumismo sfrenato di cui siamo un po’ tutti schiavi, “come se fossimo al mondo solo per questo”. A chiudere questa serie di Fibra in solitaria c’è Amici o Nemici, riflessione sulla difficoltà nel distinguere i rapporti veri e quelli falsi una volta raggiunti la fama e il successo. Un tema se vogliamo non nuovo, ma che Fibra tratta in maniera originale e che sente evidentemente profondamente suo. Tanto che ha detto essere uno dei suoi pezzi preferiti dell’album.
Per il pezzo successivo, Cocaine – che si fonda sulla critica alla cancel culture e al politically correct – chiama a rapporto due giganti come Salmo e Guè. Perfetti per lo stile, ma anche per il tema trattato, visto che i due di questa lotta al politicamente corretto hanno fatto negli anni una bandiera. Tre mostri sacri del rap che parlano di rap in un pezzo profondamente rap: il risultato ottenuto è quello che andavano cercando.
Noia con Marracash è una traccia ben più pacata, complice anche la base di Ketama126 con un sample di Miles Davis ed un estratto di un’intervista a Charles Bukowski. “Marracash ed io affrontiamo un tema abbastanza fastidioso, la noia che ti assale quando sei vittima della routine, quando la gabbia dorata del mainstream ti chiude dentro e butta via la chiave”. E lo fanno in un pezzo originalissimo, privo di ritornello e fortemente riflessivo.
Lascia poi a bocca aperta Nessuno, che racconta una storia di stalking e violenza in una maniera che colpisce nel profondo anche chi magari ha avuto la fortuna di non farne esperienza. Uno storytelling crudo, in cui Fibra non solo rappa, ma canta anche. Qualcosa che riserva solo ai brani in cui ne vale davvero la pena. E questo è uno di quelli.
Liberi con Francesca Michielin è un’altra traccia che FF sente evidentemente importante, in primis per sé stesso. L’importanza di essere sé stessi, di concedersi di stare male e soprattutto di farlo vedere, in un mondo che ci vuole tutti belli e sorridenti, costantemente. Ancora una volta un tema non nuovo, ma trattato con una sincerità disarmante, che lo rende un brano necessario. Un brano dalle sonorità pop, ma che del mondo pop e dei suoi riflettori sempre accesi esprime un chiaro rifiuto.
Ed eccoci arrivati alla fine di un viaggio lungo, ma non stancante. Fibra, che alle logiche della musica fast-food non si è mai voluto piegare, chiude il disco in maniera classica, con un’Outro. Un condensato di pensieri ricordi e ringraziamenti a tutti coloro che se li meritano: i fan, il suo team, gli artisti che hanno collaborato al progetto. E, soprattutto, a sé stesso: “Grazie a me stesso / Che sono ancora qui, vaffanculo / Non è facile, eh”. No, non è facile, essere ancora qui dopo più di 20 anni. Sempre uguale a sé stesso e sempre diverso dagli altri. Sempre necessario.
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