LNDFK: Kuni

LNDFK: Kuni

Kuni: il linguaggio unico ed universale di LNDFK

Intervista a cura di Ilaria de Guidobaldi di Futura 1993

Kuni, album d’esordio di LNDFK, uscito l’11 febbraio per Bastard Jazz / La Tempesta, è un’opera completa, in cui niente è banale, niente è scontato. L’artista, producer e songwriter, ti prende la mano ad inizio disco, e ti trascina in un viaggio tra il jazz e l’elettronica, tra il Giappone e Napoli, tra la vita e la morte, dicotomia che ha ispirato il concept dell’album.

Pezzo dopo pezzo, si comprende sempre meglio quanto il progetto sia figlio di un lungo periodo di ricerca, sperimentazione, influenze e amore assoluto per la musica, tutto attraverso campionamenti, synth e costanti cambi di ritmo che non fanno abbassare mai la guardia.

La cosa migliore di questo disco, co-prodotto con Dario Bass, è che non è necessario essere un cultore del genere (qualunque esso sia) per apprezzarlo: si può non essere familiari con determinate sonorità e comunque essere colpiti dai più minimi dettagli che ogni brano presenta, lasciandosi trasportare in un’esperienza davvero rara da ritrovare nel panorama attuale.

Lo sviluppo di un progetto così particolare porta tante domande rivolte a chi ne è l’artefice: per questo motivo, abbiamo fatto una chiacchierata direttamente con lei!

Ciao Linda! Complimenti per l’uscita dell’album a te e Dario Bass, è davvero un lavoro spettacolare.
Leggendo qualsiasi tua breve biografia, la prima domanda ci sorge spontanea: le influenze principali in questo disco richiamano sicuramente l’oriente, ma dal tuo punto di vista, quanto influiscono in questi pezzi il tuo lato napoletano e quello tunisino?

Hey, grazie mille! Probabilmente molto poco, o meglio, è possibile che il mio “lato napoletano” sia stato esaltato principalmente dalla co-scrittura e co-produzione e che sia quindi più merito di Dario che il mio. In particolare, lo sento nella seconda traccia: Takeshi. Mentre lavoravo a quella traccia ho notato che il sound mi evocava scenari urbani, sia napoletani che giapponesi e questo aspetto mi ha particolarmente affascinato e non riuscivo a capire perché riuscissi a sovrapporle. Questo mi ha portato a fare alcune ricerche e ho ritrovato la gemellarità che esiste tra Napoli e Kagoshima anche nella musica, in particolare quella funk 70-80, e, qualche volta, anche nel suono di alcune parole.

Per quanto il tuo genere sia indefinibile, sicuramente gli elementi portanti sono il jazz e l’elettronica. Ti ricordi i primissimi momenti in cui ti sei avvicinata a questo tipo di musica? Quando è successo?

Durante la mia preadolescenza non avevo dei gusti troppo definiti, non facendo una ricerca attiva finivo per ascoltare la musica mainstream: il pop. Esiste una gamma di emozioni, uno spettro molto più complesso di quello che il pop riesce a codificare secondo me. Il Jazz riusciva a corrispondere il mio bisogno meglio del resto, e ho finito per innamorarmene. Qualche tempo dopo ho iniziato a suonare in una band trip-hop e poco più avanti mi sono messa alla ricerca di un producer con cui collaborare. Al tempo non producevo ancora. Ho incontrato Dario Bass in una scuola di jazz, e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Ho trascorso alcuni anni nel suo studio ad Arzano e questo mi ha connesso ad altri artisti, tra cui Odeeno, e ad una scena che mi ha influenzato molto e che ha giocato un ruolo fondamentale nell’incoraggiarmi a diventare una producer. Eravamo degli amici che si suggerivano trick sulla produzione e i dischi migliori, con i quali riuscivo a condividere la passione per l’abstract beat. In quel periodo era una scena molto di nicchia nel mondo e questo immagino ci facesse sentire un po’ meno isolati artisticamente. Ricordo quel periodo con molto amore.

Tu e Dario avete viaggiato tanto in questi anni, vissuto in città diverse per cercare di assorbire quanto più possibile da tantissimi artisti, anche di alto calibro. Nonostante tutto ciò, persiste il concetto di casa per voi? Dov’è casa vostra?

Mi trasferisco ogni anno in una nuova città. Mi sono da sempre percepita senza radici, e le uniche che sento possibili le ritrovo in quelle che poi finiscono per diventare le mie “influenze artistiche”. Un giorno un amico mi ha fatto un test, una sorta di gioco, in cui mi chiedeva di disegnare “la casa”: la mia, al tempo, si riferiva ad una persona, per cui ho disegnato semplicemente un cuore con due piccole gambe.

Si possono dire tante cose su Kuni, ma non che sia un progetto semplice. Anche un orecchio meno esperto percepisce la complessità dei suoni, dei messaggi, dei concetti, ma anche della struttura del disco in sé per sé e delle influenze retrostanti. È nato spontaneamente? Oppure è stato studiato tutto nei minimi dettagli? A partire da questa consapevolezza, la curiosità principale è: in quanto tempo è stato scritto?

Il processo di scrittura di Kuni è durato diverso tempo, tre anni almeno, avevo bisogno di affrancarmi da un tipo di approccio compositivo che avevo in precedenza, e che non mi rappresentava più, per arrivare ad una nuova consapevolezza, e questa cosa richiede sempre del tempo. Infatti, connetto il periodo della scrittura del disco a un’evoluzione speculare, personale. Quest’evoluzione ha coinciso con dei viaggi e degli spostamenti, da Napoli a Berlino e Milano, momenti di jam e sperimentazione con altri artisti. Il punto di svolta è stata la visione di Hana-bi, il film di Takeshi Kitano. Da lì è come se si fossero connesse le tracce che stavo scrivendo, ed è fiorito tutto il concept del disco. Quel film è una riflessione dicotomica su vita e morte e quindi ho deciso di direzionare il disco su un concept simile, Eros e Thanatos, che si riflette nella scelta musicale di far coesistere componenti acustiche ad altre elettroniche.

Con l’uscita del disco ci hai spesso tenuto a sottolineare il cambiamento e l’evoluzione artistica che hai affrontato negli ultimi anni, e di come questo differenzi molto i pezzi che sentiamo oggi da quelli presenti in Lust Blue. Quand’è che hai capito di aver bisogno di questa trasformazione?

Anche se lo stavo elaborando da tempo, se un momento preciso c’è stato corrisponde a quando mi trovavo insieme al producer Cam O’bi e ci confrontavamo sulla capacità degli artisti di riuscire a tradurre la propria personalità in un sound che la corrispondesse e, nello specifico, quale fosse il ruolo del producer. Realizzai che i brani che avevo pubblicato fino a quel momento, seppure mi avessero consentito di esprimere dei contenuti importanti, non mi sembravano abbastanza maturi o abbastanza personali e mi apparivano come un’emulazione di quelli che erano i miei punti di riferimento. Ho deciso di fermarmi e dedicarmi alla ricerca di un linguaggio che fosse veramente il più personale e sincero possibile, e ho completamente rivoluzionato anche il mio approccio creativo: ho smesso di aggrapparmi a delle reference musicali e ho iniziato a focalizzarmi esclusivamente sulle mie esperienze personali, l’istinto e a trarre ispirazione dal cinema, l’arte figurativa, la letteratura, la poesia.

Purtroppo, un’artista come te, in Italia, rischia facilmente di non essere percepita e compresa appieno dal pubblico medio. Come vivi questa consapevolezza?

Ho sempre favorito la qualità alla quantità, perché ritengo che per una comunicazione efficace siano necessari la capacità di sapere esprimere con chiarezza un contenuto e la disponibilità a riceverlo; i due elementi sono indispensabili. Mi ha molto colpita la risonanza che ha generato la pubblicazione del disco e il modo in cui è stato accolto. Molti dei feedback che ho ricevuto sono lontani dal target che prevedevo e in molti mi hanno scritto di aver amato Kuni, seppure lontano dal linguaggio che sono soliti ascoltare, e, come dicevi prima, seppure “complesso”, per l’inequivocabilità del contenuto. Questo mi ha reso davvero felice. Più di tutto mi ha entusiasmato il fatto che attraverso il mio disco molte persone hanno avuto accesso ad un linguaggio (cinema, libri, poesie, ecc..) che prima non conoscevano e il fatto che la mia arte possa generare questo tipo di curiosità resta per me la cosa più importante.

Una domanda che ci piace spesso fare, anziché chiedere “qual è il tuo grande sogno”, è qual è il tuo piccolo sogno? Il traguardo che desideri e che vedi possibile raggiungere nei prossimi mesi.

Non vedo l’ora di suonare il disco in tour insieme alla mia band. Mi piacerebbe moltissimo fare un tour in giro per l’Europa e in Italia.

In bocca al lupo per tutto, e grazie di averci dedicato il tuo tempo!

Ascolta e segui LNDFK su canali sociali:

https://www.facebook.com/lndfkunicorn

https://www.instagram.com/lndfk/

Madeleine Rauch: Obsessed

Madeleine Rauch: Obsessed

Maximilian Wentz: Centerpiece

Maximilian Wentz: Centerpiece