Intervista: Carlo Corallo

Intervista: Carlo Corallo

Intervista contribuito contribuito da Giada Consiglio di Futura1993

Quando le canzoni finiscono: il secondo album di Carlo Corallo spicca per spessore del lessico e trasporto emotivo

Nella nostra epoca, ricca di consumismo e ricambio musicale continuo, non è semplice trovare un artista che sappia dare il giusto peso ai concetti e alle parole. Sempre più spesso troviamo canzoni che durano una stagione o due e poi cadono nel burrone del dimenticatoio. Sono rari i testi che restano dentro, perché sanno raccontare generazioni, luoghi e sensazioni.

Carlo Corallo, rapper ragusano di ventisette anni, trasferitosi a Milano, si fa notare proprio grazie alla capacità di dare fascino e peso alle parole, raccontando di sé e di storie altrui, di vite passate, di arte e di amore. Dopo il disco d'esordio – Cant'Autorato – affacciatosi al mondo nel 2019, torna con un secondo progetto discografico sotto etichetta Osa Lab, dal titolo Quando le Canzoni finiscono, che conta undici brani e cinque collaborazioni con musicisti del calibro di Murubutu, Roy Paci,Anastasio, Mattak e Funk Shui Project.

Di questo lavoro racconta: quando l'anno scorso, dopo mesi di blocco creativo, l'unica sensazione costante era quella di aver finito l'inspirazione, ho deciso che proprio la FINE, ramificata nei vari contesti offerti dalla realtà contemporanea, sarebbe stata il tema dell'album che avrei scritto.

Si tratta di un disco che va salvaguardato, per lo spessore del lessico, per le metafore e il trasporto emotivo. Musicalmente trascina per le note jazz di pianoforte e fiati che sanno distinguerlo da tutti gli altri rapper del momento. Per approfondire l'ascolto e la giusta chiave di lettura del suo storytelling, abbiamo deciso di fargli qualche domanda!

Ciao Carlo! Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista, cantava Caparezza. Oggi tocca a te con l'uscita di "Quando le canzoni finiscono". Cosa ci racconti riguardo questa tua seconda creazione?

Effettivamente, confermarsi è un atto delicato, perché basta poco per deludere le aspettative. Ho dedicato a questo album più tempo rispetto al primo, per non farlo sminuire rispetto al suo predecessore. Spesso mi sono sentito svuotato (anche a causa del periodo Covid) e credevo di non tornare più ai livelli di ispirazione del 2019. Poi, per fortuna, ho ricominciato ad uscire di casa.

Già dal primo album "Cant'Autorato" ci hai abituati ad una scrittura importante e complessa, contraddistinguendoti dai rapper del momento. Anche in questo secondo lavoro troviamo rime immaginifiche: qual è il tuo approccio alla creazione di un brano?

Parto, di solito, da una frase rappresentativa di un immaginario, per poi sviluppare quest’ultimo in maniera “libera”, nel senso che faccio terminare il brano, quando si esauriscono le cose che voglio dire sul tema prestabilito. Il momento della scrittura è sempre la notte, poco prima di dormire; lo trovo il momento più adatto per non ricevere le interferenze del mondo circostante e favorire i link mentali.

Le tematiche affrontate sono diverse, ma non poteva assolutamente mancare l'Amore, eterno protagonista di tutte le nostre vite. "Un Giardino", ad esempio, paragona il divenire del tempo con la maturazione di una relazione. Quanto ti senti cresciuto a livello personale e quanto la musica ti aiuta a scandire il tempo?

Mi sento in una costante fase di crescita umana, durante questo periodo della mia vita, a causa di sconvolgimenti della quotidianità, apportati sia dal contesto storico imprevedibile sia dalla sfera personale. Scandisco il tempo con l’uscita dei dischi dei miei artisti preferiti, più che con i compleanni, e uso la mia musica per ricordare le situazioni descritte all’interno dei brani. Le canzoni fotografano ciò che vivo e credo che invecchieranno con me.

"Dall'euforia di fare la guerra e l'erotismo di fare la pace" anche in "Amore, violenza, amore" troviamo dei forti contrasti. Come vivi l'amore e quanto è diverso da quello che poi racconti nelle strofe?

Lo vivo esattamente come lo racconto, anche se i soggetti descritti non sempre hanno natura autobiografica. Milano e la Sicilia mi hanno insegnato a vivere i rapporti in due modi opposti e questo, credo, sia il motivo per cui sento sempre la mancanza di qualcosa. Inoltre, ogni creativo, dal più al meno famoso, soffre la sostituzione della sua figura artistica a quella della sua figura umana, trovando difficoltà a risolvere problemi inerenti a faccende non presenti in un disco o su un palco.

Raccontare la vita degli altri non è mai facile, soprattutto se affronti quella di un artista del calibro di Antonio Ligabue. In "Storia di Antonio" ci racconti la sua anima fragile e solitaria. Quanto sei vicino al mondo dell'arte e come mai hai scelto proprio Ligabue?

Sono un estimatore dell’arte pittorica e già uno dei miei primissimi pezzi (Il Pittore di Lione) trattava questo tema. Antonio Ligabue ha passato gran parte della vita senza essere capito, morendo solo qualche anno dopo aver provato l’appagamento conferito dalla fama. Credo che la scena musicale rap si stia sempre più modellando sulla base del pubblico giovanissimo che lo finanzia, soffocando le alternative per adulti. Chi si ostina ad esprimersi in maniera non semplicistica, sembra quasi portare avanti una battaglia contro i mulini a vento, considerando anche il riscontro numerico che ottiene. Ho scelto di raccontare la sua storia anche per permettere a Murubutu di scatenare il suo potere descrittivo riferito, in questo caso, a luoghi a lui fisicamente vicini.

La collaborazione con Murubutu però non è l'unica per questo disco, ci sono tanti featuring azzeccati come Anastasio, Roy Paci, Funk Shui Project e Mattak. Com'è stato lavorare con questi artisti?

Ho avuto la fortuna di collaborare con artisti disponibili e totalmente consci della direzione del progetto. È stato stimolante sentirli adattarsi al mio stile, mantenendo comunque la loro cifra identitaria. Io ho lasciato carta bianca, loro mi hanno sorpreso con i loro contributi (basti pensare alla strofa rappata da Roy Paci).

"Il Capofamiglia" è il brano che mi ha più colpito, forse perché richiama la tua (ma anche la mia) Sicilia con un parlato in dialetto. Sei legato all'isola e qual è il tuo rapporto con lei?

La lego a tutte le mie amicizie più autentiche e ai rapporti di parentela. È impossibile che esca totalmente da me, perché è stata parte fondante della mia formazione. Ne ho una considerazione altalenante, in quanto delle volte vorrei tornarci e isolarmi dalle ambizioni e dalla competizione suggerite dal modello milanese, altre sento di aver fatto bene ad allontanarmi, seppur con l’eredità della mia terra natale sempre salda all’interno dei miei modi di fare e di pensare.

"Se chi fa un'opera d'arte non lo chiami artista ma operaio, tutto diventa più chiaro". Quanto, per te, definire sé stessi e la propria arte cambia la concezione all'interno della società?

Definire l’arte è molto importante, ma solo a livello organizzativo, specialmente quando una pandemia causa il blocco di determinati settori, e la società vede la musica come intrattenimento, anziché come forma di cultura. Dunque, in questo periodo di grandi oscillazioni, sono ancora più indeciso nel rispondere alla domanda “chi fa un’opera d’arte è un artista o un operaio?”, proposta nell’album.

Musicalmente l'album ha delle bellissime note jazz, che tra fiati e pianoforte ci trasportano nel tuo ambiente. La produzione vede molti nomi, tra cui Paolo Paone. Com'è stata l'unione di più persone per questo progetto?

È stato molto soddisfacente mettere insieme più teste e trovare, comunque, la coesione. Gli strumenti suonati hanno impreziosito il progetto e le strumentali ricercate non hanno mai disturbato il fiume di parole, evitando eventuali cali d’attenzione dell’ascoltatore, a causa della mole di suoni.

La copertina che rappresenta "Quando le Canzoni finiscono" è stata affidata a Luca Maleonte e raffigura un bus urbano che va a fuoco. Da cosa viene questa idea, che rappresenta una scena reale purtroppo accaduta?

L’idea era quella di rappresentare il malfunzionamento di un bus, elemento che sconvolge di poco la quotidianità dei passeggeri: un impercettibile effetto farfalla sulla routine quotidiana, rappresentata da Cant'Autorato, che narrava, tra l’altro, di quanto fosse diventata prevedibile. È la metafora di tanti sconvolgimenti avvenuti nella mia sfera personale, che ho esorcizzato tramite la scrittura.

Ora che questa seconda parte di te è stata data al pubblico, che ascolterà e amerà come noi ogni singolo brano, che progetti e che desideri hai?

Il progetto è quello di continuare a scrivere questa musica intelligente, o, meglio, difficile da vendere, finché mi andrà. Il desiderio più ambito è quello di essere felice con una media costanza.

Ascoltate e seguite Carlo Corallo su canali sociali:

https://www.instagram.com/carlo_corallo/

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