Intervista: Dodicianni

Intervista: Dodicianni

Articolo contribuito da Sofia Lussana di Futura1993

Dodicianni e il racconto della vite altrui

“Mio padre scrive per il giornale” è il nuovo singolo di Dodicianni, nome d’arte di Andrea Cavallaro, artista ma soprattutto cantautore, compositore e pianista originario del Veneto. Il singolo, insieme a “Discoteche” pubblicato lo scorso 30 ottobre, anticipa il suo nuovo progetto che uscirà a breve.

La produzione del singolo, firmata dallo stesso Dodicianni, da Edoardo “Dodi” Pellizzari e Fed Nance, mantiene un approccio minimale, dove l’elemento principale è senza dubbi il pianoforte, ovvero lo strumento al quale Dodicianni si è dedicato maggiormente sin da giovane.

In “Mio padre scrive per il giornale” Dodicianni appoggia il cuore sul pianoforte e lo lascia suonare senza il bisogno di interferire o dover far da filtro. La melodia si unisce inevitabilmente al testo, che è crudo ma rimane comunque dolce, esattamente come le note che lo accompagnano.

L’immaginario che trasmette il brano è molto inteso e fatto di incomprensioni, di affetto negato, di sentimenti taciuti. Ripercorre precisamente i momenti in cui crediamo di non essere abbastanza per le persone che amiamo e di conseguenza ci sentiamo terribilmente inadeguati.

Nel bel mezzo di questo tempo sospeso la musica di Dodicianni ci è arrivata dritta al cuore e lo ha decisamente scaldato, così abbiamo deciso di scrivergli per farci spiegare qualcosa in più sul suo progetto musicale e in particolar modo sul suo nuovo singolo “Mio padre scrive per il giornale”.

Qualche giorno fa è uscito il tuo nuovo singolo “Mio padre scrive per il giornale”, che parla della frustrazione che proviamo quando non ci sentiamo abbastanza per le persone che mi amiamo. È un pezzo molto personale, è stato facile il processo di scrittura?

È stato “più facile” perché non è una storia autobiografica ma proviene da un racconto, uno di quelli che ci capita di fare quando l’interlocutore è sostanzialmente uno sconosciuto, hai presente? Io ho ascoltato e ho soltanto messo in musica questo sfogo; in realtà quindi ci è davvero voluto poco, è stato un flusso veloce ed istintivo. Mi piace quando accade, spero sia la maniera più autentica di raccontare qualcosa.

Rispetto ai tuoi lavori passati sembra ci sia stato un cambiamento a livello musicale. A chi hai affidato la produzione del pezzo?

La produzione è stata curata da Edoardo “Dodi” Pellizzari e Fed Nance. L’approccio che abbiamo voluto mantenere prevedeva due fasi ben distinte, una prima in studio con tutta la band al completo per registrare il core della traccia in presa diretta e la seconda una produzione vera e propria di Fed, maestro di interpolazioni e magie con i synth. Ci tenevo particolarmente che suonasse autentico ma allo stesso tempo un po’ distopico.

Sappiamo inoltre, che per la realizzazione del tuo ultimo singolo hai collaborato con un studio di mastering di Chicago, com’è nata questa collaborazione oltreoceano?

Ebbene sì, sono uno di quelli che soffre un po’ di esterofilia. Più in generale, però, non avevamo l’esigenza di inseguire un “suono italiano”, siamo andati a briglie sciolte. Avevo sentito dei lavori di Collin e così gli ho scritto una semplicissima mail. E lo sventurato rispose.

Dopo il tuo album “No Frame Portait” uscito nel 2017, hai preso una pausa significativa dal tuo progetto musicale. Come mai?

È stato un po’ frustrante, devo ammetterlo, ma la verità è che non avevo nulla da comunicare, così ho preferito aspettare. Al giorno d’oggi se passano 6 mesi in cui non hai buttato fuori nulla ti danno per scomparso, ma ci tengo troppo a riascoltare i miei pezzi tra qualche anno e ritrovarmici.

Collegata all’album, c’è una performance artistica omonima in cui hai tentato di “tradurre” le persone in musica al pianoforte. Come ti è venuta l’idea?

Mi è venuta perché sono un fanatico della vita delle persone, adoro le storie, capire il perché di certe scelte, comportamenti, insomma sono sempre alla ricerca di un punto di vista. Il pianoforte e la musica è stata la mia chiave di volta per poterlo fare con discrezione.

Poco prima dello stop ai concerti e l’arrivo della pandemia hai aperto per Calcutta in una delle date del suo tour europeo a Londra. Quali sono le differenze tra il dietro le quinte di un concerto in Italia e un concerto in Inghilterra?

Il pubblico era prevalentemente italiano perciò sembrava di essere a Roma, però dentro ad un teatro che ha fatto la storia della musica inglese. Due sere prima ci suonava Ronnie Wood, per dire, a me sembrava tutto surreale. Ho notato molta attenzione comunque per gli artisti e le crew, cosa che qui magari c’è un po’ meno. Io ero in apertura, ma ho ricevuto un trattamento al pari di Calcutta, non era scontato.

Prima di “Mio padre scrive per il giornale” hai rilasciato un altro singolo dal titolo “Discoteche”. Uscirà a breve un album o un EP che le conterrà?

Sto lavorando ad un EP, è importante per me racchiudere un lavoro dal punto di vista musicale, oltre che tematico. Questi pezzi in qualche modo raccontano una fase della mia vita che vorrei avesse una parentesi di inizio e una di fine, ma ci vuole tempo per curare ogni dettaglio, e io non voglio mettermi nessuna fretta.

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