Intervista: DOLA

Intervista: DOLA

Sottoterra, tra le visioni distorte e i ricordi peggiori: intervista dai recessi di DOLA

Intervista contribuito da Alessia Giangrande di Futura 1993

Essere autentici e mettersi a nudo richiede una sincera connessione con le proprie ombre.

Dopo essersi confrontato con le proprie debolezze e cicatrici, DOLA, pseudonimo di Aldo Iacobelli, è pronto a scendere sottoterra e a farne vibrare le viscere con il suo ultimo album Underground, uscito lo scorso aprile per Vulcano. Combinando efficacemente elementi punk e pop, l'artista si immerge in un viaggio tra fantasmi, paranoie e ossessioni, mantenendo l'approccio sfrontato e irriverente che lo contraddistingue.

Dodici tracce scavano fra i recessi della sua anima, dimostrando che DOLA non ha timore di affrontare tematiche profonde e personali con cruda sincerità: il caos, la tossicodipendenza e le sue conseguenze, interiori ed esteriori. La musica si fa eco di tormenti e stati d'animo alterati: strumenti distorti - spesso all'estremo - e ritmi frenetici sono i protagonisti.
I singoli Destroy e Heavy Metallo hanno aperto la strada a questo viaggio tumultuoso, mentre brani come Nomi Cose Città e Hooligans permettono di prendere fiato con ballad intime e dal sound acustico e lo-fi.

Dopo tre anni dall'ultimo album, abbiamo colto l'occasione per intervistare DOLA, facendoci raccontare i retroscena di questo nuovo progetto tanto inquieto quanto intenso.

Ciao DOLA! Sono passati tre anni dal tuo ultimo album CULTURA MIXTAPE: cos'è successo in questo periodo? Come nasce Underground e quali sono state le sue influenze musicali?

Sono stati tre anni di crisi esistenziali, d’astinenza, di governo mentale. Ho perso due amici, mia nonna, persone care, l’amore e una notte ci sono andato bello vicino anch'io. Mi sono anche liberato di coloro che fingevano di essere dalla mia parte, ho ritrovato la voglia di suonare e l’ho fatto con gli strumenti che avevo da ragazzo. Underground è la ricostruzione del mio mondo dalle fondamenta. Finalmente ho trovato una mia via per buttar fuori tutto quello che ho dentro. Non ho risentito di particolari influenze: volevo fare il disco che non sono riuscito a fare quando avevo 18 anni.

ll sound è decisamente differente rispetto a quello dei tuoi album precedenti: caotico, distorto e spesso brusco. Cosa volevi trasmettere?

Underground è un disco difficile da tenere a bada, rispecchia perfettamente il mio umore: gli up e i down, il caos che mi accompagna da sempre e la distorsione della realtà. A oggi è uno dei dischi più intimi e personali che abbia mai suonato, quindi se riesce ad arrivare questo è un gran goal. Il sound sarà differente a ogni disco che farò, spero. Cercare sound diversi è la cosa che mi diverte di più ed è l’unica che mi incuriosisce quando faccio o ascolto musica.

In questo album hai deciso di calarti anche nelle vesti di producer: com'è andata?

È stato molto liberatorio prendere in mano la situazione. Premesso che sono la persona meno costante al mondo, l’unico modo che avevo per fare questo disco era rispettando i miei tempi e mettermici solo quando avevo davvero delle cose da dire, senza fretta. Poi la fase produttiva è passata in mano a Marco Caldera di Vulcano che ha fatto un gran lavoro; in altri pezzi è stato fondamentale NoLabel. Insomma, io ho impostato gli scheletri dei brani.

In Heavy Metallo parli di instabilità interiore: "Sto sulle montagne russe / e mi viene il vomito a pensare alle cinture / che sono solo paure". Le paure di cui parli sono personali o anche generazionali?

Per me le paure personali sono inevitabilmente generazionali: con quel verso posso rivolgermi al 18enne che sta iniziando un percorso o al 50enne che lo sta finendo. Le paure, in quanto umane, sono generazionali, ne condividono matrice e DNA, anche col mutare delle epoche. Ogni periodo ha le sue invenzioni e le sue mille convinzioni, che portano spesso nel territorio dell’insicurezza: per me, il male per eccellenza. 

Belli e Perdenti sembra un inno degli ultimi: cosa significa per te esserlo oggi?

Non saprei cosa dire, non penso si possa parlare di questa cosa come se fosse una categoria omogenea. Io parlo di me e delle mie persone, lo farò per sempre. Esistiamo e basta, finché dura. 

Per annunciare il primo singolo Destroy hai detto "inizierò a darvi fastidio" e infatti i suoni dell'album sono spesso aspri e dissonanti, ma le tematiche che affronti sono ancora più scomode: cosa significa per te parlare del consumo di sostanze oggi?

È come un esorcismo. Ne parlo perché siamo una società incatenata, dove però le sostanze sono sempre state parte del gioco, la nostra libertà nello spegnere la realtà. Parlarne le fa diventare meno una leggenda. 

Domanda frivola: qual è la storia della traccia PAULUH?

È una canzone polacca molto dolce, eseguita in growl, d’inverno e con i lupi fuori. Roba da streghe. 

Quando potremo sentirti live?

Stiamo iniziando ad imbandire il tutto! Spero davvero molto presto, anche perché sto iniziando a fare la muffa a forza di stare sempre qui.

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