Intervista: Wako
Intervista contributo da Chiara Grauso di Futura1993
Possiamo trovare Walter Coppola sui social sotto due voci: sonowako e visioneprospettica. Due profili per due forme diverse della sua arte: sfaccettata e bipartita. Nella sua vita porta avanti una doppia carriera: parallelamente sia musica che fotografia. Grazie a questa duplicità, Wako ha la possibilità di mostrarci la realtà vista attraverso i suoi occhi, dietro gli scatti di una macchina fotografica, e di raccontarla, con le parole dei brani che compone. Inoltre, affina la sua scrittura grazie all’attività di autore per altri colleghi musicisti.
La sua musica è figlia dei luoghi in cui è nato e ha vissuto: di origine campane – è nato a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno – da ormai sei anni vive a Milano, città nella quale la sua arte ha avuto modo di emergere e farsi conoscere. Le sue canzoni si inseriscono perfettamente sia nella scena urban milanese, che in quella rap campana. E il DNA complesso delle sue canzoni emerge proprio grazie ai rimandi al pathos campano, reso, linguisticamente, con inserzioni, nel testo, di frasi in dialetto. Accanto a riferimenti più immediati alla scena contemporanea – vedi artisti come Mahmood e Liberato – i brani di Wako si portano alle spalle una buona conoscenza del cantautorato italiano passato (a noi, per esempio, Malammore ha fatto pensate ad una versione attuale di Spaccacuore di Bersani).
Il 26 marzo è uscito il suo ultimo singolo: Pathos, un brano che si potrebbe definire un manifesto delle sue intenzioni artistiche: ovvero la prerogativa e l’obiettivo di suscitare sempre, nel suo pubblico, un certo pathos, una partecipazione emotiva: “ci vuole pathos calma e sangue freddo / ci vuole cura per sentire sto momento”.
Pochi giorni fa abbiamo fatto una chiacchierata proprio con lui, per farci dire qualcosa di più a proposito della sua arte, tanto sfaccettata. Leggi cosa ci ha risposto!
Ciao Wako! Iniziamo tornando indietro: nel 2019 è uscito il tuo primo singolo, Dubai. Ci racconti qualcosa sul tuo esordio?
Dubai ha segnato il mio nuovo inizio, quello senza preconcetti e senza maschere. Mi ricordo che ero super in ansia ma allo stesso tempo un sacco gasato. Volevo far vedere finalmente alle persone quello che ero e sapevo fare. È stato molto difficile trovare un producer che capisse il sound che volevo ottenere, soprattutto perché di base sono una persona molto pignola sul lavoro e su quello che voglio fare. Ma sono stato felice di aver preso questa scelta.
In Dubai accenni al tuo trasferimento a Milano. Sei di origini campane e i tuoi brani sono un mix perfetto di queste due realtà così diverse. Se dovessi pensare al DNA delle tue canzoni, cosa ci troveresti di Milano e cosa della tua città natale?
Sì, sono di origini Campane, adottato da Milano ormai da 6 anni. Se dovessi pensare a cosa ritrovo della Campania nelle mie canzoni? Sicuramente i colori, il pathos e il modo di fare. Di Milano invece trovo le strade e le esperienze che ho vissuto, mi hanno fatto crescere e fanno parte oggi della mia realtà e della mia persona. La Campania mi ha cresciuto, Milano mi ha formato.
Un brano che mi fa pensare a questo mix è Santa Madonna. Ci racconti qualcosa di più su come è nata questa canzone?
Santa Madonna è nata davvero a caso, in Campania, nel mio posto. Lo chiamo mio perché è dove ho scritto la maggior parte dei pezzi. Ero preso male perché avevo voglia di uscire e far festa, ma con l’inizio della pandemia mi risultava difficile. Diciamo che volevo un po’ sperimentare e uscire dalla mia comfort zone. Beh, finita la bozza ho pensato “Che bomba sta song, spacca”. Così ho deciso che sarebbe stato un mio prossimo singolo.
Ora ti proporrò un accostamento che forse ti sembrerà assurdo. Ascoltando Malammore, invece, ho ripensato a una versione “urban” di Spaccacuore di Bersani. Quali sono i tuoi punti di riferimento appartenenti al cantautorato italiano?
Beh, per me è un complimentone questo accostamento, grazie! Guarda, sono cresciuto con Pino Daniele, Lucio Battisti e Mango. Quindi ti direi loro assolutamente.
Nel tuo ultimo singolo canti "ci vuole pathos, calma e sangue freddo". Suscitare intense emozioni e una totale partecipazione nel tuo pubblico - per riprendere il significato di pathos - è un tuo obiettivo quando componi musica?
Cerco sempre di dare pathos a tutto ciò che faccio nella mia vita. In tutte le cose che scrivo ci metto pathos, è l’unico modo per fare la differenza. Poi tutti i mie pezzi voglio che siano sentiti e vissuti. Odio scrivere cose che non ho mai provato. Non mi sento real sennò.
Hai una scrittura molto descrittiva, sicuramente influenzata dalla fotografia, la seconda arte a cui ti dedichi. Come si influenzano queste due passioni nei tuoi lavori?
Si, oltre a cantare faccio il fotografo. Mi piace fare arte a 360 gradi. Voglio esprimermi a pieno delle mie possibilità. La fotografia e il fare musica vanno di pari passo. Si influenzano tra di loro. Se non scattassi foto non scriverei così. Voglio che i testi che scrivo creino delle foto e delle immagini ben precise da farle visualizzare a tutte le persone che ascoltano i miei brani.
Hai lavorato anche come autore per altri cantanti. Cosa si prova donando un proprio pezzo ad un altro artista?
È molto figo scrivere per altri o co-scrivere con l’artista stesso. Devi entrare in una visione diversa. Impari molto anche dagli altri. Magari all’inizio se non sei abituato ti fa strano, ma poi vedere nascere un qualcosa di figo e sentirlo cantare da altri ti fa dire “mi piace”.
Ultima domanda: i tuoi piani per l’estate? Ci saranno nuove uscite firmate Wako nei prossimi mesi?
Per l’estate?! Beh, ovvio, a breve uscirà qualcosa di assolutamente fresh! Ma non posso dirvi di più eh…
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