Levante: Opera Futura
Opera Futura: il coraggio di oscillare tra il rassicurante e il sorprendente
Recensione contribuito da Filippo Colombo di Futura 1993
“Hope is the thing with feathers”, “la speranza è quella cosa piumata” – così recita una poesia di Emily Dickinson, parte del Fascicle 13, rinvenuto dalla sorella dopo la sua morte e postumo pubblicato nel 1891. Ed è proprio da qui trae origine la simbologia di Opera Futura, quinto album in studio di Levante: c’è il verde, perché “del futuro non so niente eccetto la speranza”, e c’è un piumato cigno che “agisce doppiamente, sulla simbologia della speranza, ma anche della bellezza e del pensiero leggero”.
La genesi di Opera Futura ha inizio nel marzo 2020, nel tempo sospeso della pandemia, e ha attraversato la gravidanza, la nascita di Alma Futura, i momenti bui del post-parto, per culminare infine nella gridata e rivendicata rinascita. Arriva tre anni e mezzo dopo Magmamemoria, ma è ben lontano dalle vedute impalpabili e quasi sovra-terrene del precedente lavoro discografico: Opera Futura si scontra con le ossa, con il corpo, con necessità viscerali e pulsioni erotiche concrete, la sineddoche come espediente comunicativo.
Levante, in Opera Futura, oscilla in continuazione tra il rassicurante e il sorprendente. Rassicurante in quelli che da anni sono i suoi due marchi di fabbrica – il dono nello scrivere, che fin da Manuale distruzione nel 2014 ha creato versi come “con le braccia conserte per scaldarsi il cuore”, e il timbro vocale riconoscibile, caldo e familiare. Sorprendente a partire dal colore dei capelli, che a Sanremo ha fatto discutere (“non sei più tu”, le hanno detto, ma poi le persone sui social che ne sanno di chi è lei davvero? Ma ne parleremo…), per arrivare alla scoperta di tempi, temi, arrangiamenti inediti e inesplorati.
Opera Futura è un disco contemporaneo, figlio del tempo presente ma non delle mode; prodotto da Antonio Filippelli (già al fianco dell’artista in Magmamemoria e nel precedente Nel caos di stanze stupefacenti) e scritto insieme a Filippelli e a Daniel Bestonzo, è l’album più corto di Levante – solo 10 pezzi, e a differenza dei lavori precedenti la presenza di brani filler poco convincenti è ridotta al minimo. È un disco che contiene diverse citazioni volute, e forse qualcuna inconsapevole (o altresì frutto della fantasia di chi ascolta). A partire dal primo pezzo, Invincibile, che si apre con un vocalizzo etereo che rimanda in modo nitido all’ “hold on to each other” su cui è costruita June di Florence + The Machine – che uno può dire che il colore dei capelli funga da bias e porti a vedere somiglianze inesistenti, ma è pur sempre vero che anche Kendrick Lamar ha campionato questo hook nell’apertura di We cry together, pezzo formidabile all’interno di Mr. Morale & The Big Steppers (album fresco di vittoria ai Grammy come miglior album rap), quindi la citazione (non il campionamento, sia chiaro) è più che plausibile.
Invincibile racconta uno scenario apocalittico, cantato su tempo sospeso e quasi desertico, che apre la strada al secondo pezzo, Vivo, che a Sanremo è inspiegabilmente finito sotto i Modà, sotto LDA e sotto gli Articolo 31 – ma che suona come un canto di vittoria.
In Opera Futura, non manca certo, di Levante, l’anima credibilmente poetica e metricamente ineccepibile, à la Carmen Consoli. È presente in pezzi come Mi Manchi (“anni di voli pindarici fanno il nido sui rami degli alberi / alti fino a portarci la testa tra le nuvole”) che parte al piano e accoglie via via archi e parole, e Alma Futura, lettera d’amore alla figlia (“la speranza era un salto che sapevo fare / e ho dato un nome al mio coraggio pieno di paure / e adesso so cantare”).
Nel corso dell’album, ci sono due pezzi che appaiono come sequel di brani passati: Metro racconta di un incontro in metro con un ex amore, con il quale si era detta Ciao Per Sempre, riprendendo un tema con vari precedenti musicali (su tutti, Rincontrarsi un giorno a Milano de la Scapigliatura) – e lo fa in modo così penetrante e profondo che uno ringrazia che non sia stata scritta la seconda strofa, ché se no morivamo tutti.
E poi c’è Capitale, mio capitale, invettiva che come in Non me ne frega niente si scaglia contro la vacuità e il qualunquismo da social media (“del femminismo ho già parlato / crisi climatica domani / dei tuoi diritti non so niente / ma mi esprimo facilmente per sembrare un po’ più umano”). Fa sorridere che Non me ne frega niente uscì nuda e cruda qualche giorno dopo la vociferata esclusione dal Festival di Sanremo 2017, mentre Capitale, mio Capitale arriva proprio trainata dal successo alla kermesse.
C’è poi una (forse inconsapevole) citazione ai suoni allarmati dei Massimo Volume nell’intro di Fa male qui, brano non riuscitissimo sull’importanza delle parole, c’è la gioia urlata ma non banale né superficiale di Leggera, la preparazione autogena all’imperfezione raccontata in Mater, ottimo brano necessario e coraggioso (“che dramma dirsi: non sono più la stessa ora”) e la lettera d’amore Iride blu e cuore liquido, titolo di coda denso di significato ma un po’ involuto nei suoni e nel significato.
Opera Futura è l’apripista per una stagione di instore, concerti (il 27 settembre Levante suonerà all’Arena di Verona), cinema (dal 23 settembre uscirà Romantiche, film di Pilar Fogliati di cui Levante ha curato interamente la colonna sonora), musica.
Con l’augurio che, nell’epoca del consumo musicale accelerato vengano dedicati a questo disco minuti di ascolto e di riflessione – ché ce n’è bisogno, per coglierne le moltitudini, e la promessa è che sarà tempo ottimamente speso.